Le false credenze

Per molto tempo i bisogni del bambino prenatale non sono stati oggetto dell’interesse collettivo e della famiglia.

Il nascituro che, a seconda della sua epoca gestazionale, solitamente chiamiamo “embrione” o “feto” (un lessico scientifico ma anche distaccato e freddo!) per una buona parte del secolo scorso è stato considerato incapace di provare sensazioni ed emozioni, privo di una coscienza, di consapevolezza ed anche della capacità di memorizzare le esperienze vissute. La scarsa considerazione dei suoi bisogni era primariamente una conseguenza dei limiti che gli si attribuivano.

Inoltre, era diffusa la credenza che l’utero, la nostra prima “casa”, costituisse sempre una sorta di “paradiso perduto”, dal quale alla nascita era difficile separarsi. Si credeva che il bambino prenatale disponesse già di tutto ciò che desiderava, immerso in un ambiente uterino idilliaco (oggi sappiamo che ciò non è sempre vero, ad esempio a causa di eventi e situazioni emotive stressanti nella vita della mamma, che il bambino vive insieme a lei).

Le prime ipotesi dell’esistenza della vita psichica fetale

Le credenze errate sulle capacità del nascituro e sulla sua vita prima della nascita, hanno contribuito quindi a limitare le attenzioni a lui rivolte.

Eppure, già alla fine del 1800, alcuni studiosi avevano trovato prove dell’esistenza di una attività mentale alla nascita e nel periodo prenatale.

Come scrive David Chamberlain (1998), “quando i medici cominciarono ad apprendere i vantaggi del far entrare i pazienti in stato di trance e di proporre “suggerimenti” per un miglioramento dal punto di vista terapeutico, alcuni fecero una scoperta sorprendente. Certi soggetti in stato di trance potevano regredire [] addirittura alla fase prenatale.” Tuttavia queste esplorazioni “rimasero poco più che chiacchiere da salotto fino alla metà del nostro secolo”.

L’ipotesi dell’esistenza di una vita psichica fetale è stata divulgata a livello scientifico nel 1924 da Otto Rank (1924), collaboratore di Freud, che aveva studiato le relazioni tra la nascita e lo sviluppo del comportamento umano. Grazie alle sue ipotesi, egli ha potuto abbassare l’età in cui era possibile incominciare una eventuale terapia dall’età adulta ai quattro/otto mesi di vita. Ma la sua teoria era così rivoluzionaria per l’epoca che nemmeno il suo maestro Freud l’aveva accettata.

Anche Maria Montessori ha anticipato i tempi in questo campo: con le sue idee pionieristiche si è fatta interprete del bambino, che ha chiamato anche “embrione spirituale”. Ella era ben consapevole che anche il nascituro disponesse di una psiche, tradizionalmente chiamata “anima”. Nelle sue opere, infatti, accenna qua e là all’enorme lavoro che egli compie per sviluppare il suo corpo fisico e a come, proprio grazie al suo corpo, egli può esprimere il suo spirito, la sua anima. “Il bambino”, scrive Maria Montessori (1987), “va curato dalla nascita soprattutto come un essere dotato di vita psichica… Se dunque essa esiste, deve essersi formata previamente, altrimenti non potrebbe esistere come dimostra il bambino che nasce a sette mesi. Lo svolgimento psichico è legato solo a un mistero: al segreto delle potenzialità latenti che sono diverse in ogni individuo.”

La presa di coscienza dei bisogni del nascituro origina dal bambino

Le idee di Maria Montessori sono state ulteriormente sviluppate dalle sue allieve, a partire dagli anni ’40, grazie all’offerta di un sostegno concreto alla coppia mamma-bambino (prima presso l’Istituto per le Assistenti all’Infanzia e, qualche anno più tardi, anche presso il Centro Nascita Montessori di Roma). Proponendo corsi di preparazione alla nascita per genitori in attesa e, con loro presenza amorevole accanto alle donne in travaglio, esse facevano sì che tra mamma e bambino nascesse una “sintonia”: tutto ciò agevolava il parto, favoriva un’esperienza di nascita positiva per il bambino e generava conseguenze positive per entrambi sul piano psicologico.

Perché queste prime esperienze di accompagnamento della mamma e del bambino si diffondessero più ampiamente, e perché si giungesse ad una presa di coscienza collettiva dei bisogni del bambino, si è dovuto attendere il 1970 quando, grazie a Frederic Leboyer (1975), ha incominciato a diffondersi la pratica di un parto “dolce”. L’osservazione del bambino al momento della nascita ha permesso di cogliere la sua sensibilità, di comprendere i suoi bisogni e di soddisfarli. Si tratta essenzialmente del bisogno di gentilezza, di tenerezza e di contatto affettuoso con la madre, che contrastava con le pratiche allora più diffuse. Si è cercato di far sì che il parto avvenisse nella penombra e nel silenzio, lontano dalle luci intense, dai rumori troppo forti, dalle apparecchiature mediche e dagli elementi che rendevano l’ambiente freddo. Queste accortezze permettevano al bambino di strutturare un atteggiamento di fiducia nel mondo e di apertura nelle relazioni interpersonali.

E nei nove mesi di gestazione?

Da quando la moderna tecnologia ha permesso di osservare il mondo prenatale, ciò che accade all’interno dell’utero non è stato più oggetto di mistero e si sono moltiplicate le conoscenze sul nascituro e sui suoi bisogni.

La neurofisiologia ha dimostrato che il bambino prenatale sente, prova emozioni e sogna. Inoltre, “Oggi noi sappiamo dalla fisica quantistica e dalle ricerche delle neuroscienze” scrive Elena Balsamo(2019) “che già la cellula possiede una coscienza e una memoria, quindi a maggior ragione un embrione, un feto o un neonato!”

Oltre ad acquisire informazioni, il nascituro agisce attivamente: [] registra messaggi, analizza situazioni, dialoga con la madre” (Tomatis, 2007).

La comunicazione prenatale

A proposito di comunicazione prenatale, Gino Soldera (2006) spiega: “Gli studi riferiscono che il genitore può entrare in contatto con il figlio attraverso diversi livelli di comunicazione prenatale”, e li classifica nelle seguenti 4 categorie:

  • la comunicazione fisiologica: che si svolge sul piano metabolico e biochimico;
  • la comunicazione emozionale: uno scambio di emozioni e vissuti tra madre e bambino a livello neuroendocrino e comportamentale;
  • la comunicazione delle conoscenze: basata sul contatto corporeo e sonoro;
  • la comunicazione esistenziale: una comunicazione interiore, basata sull’empatia, che implica una presa di contatto reciproca e un riconoscimento dell’altro da sé.

Il bambino prenatale dispone quindi di molteplici canali e possibilità per “ascoltarci” e per comunicare con noi. Sin dal concepimento può instaurare un dialogo molto speciale con la madre, anche se il suo senso dell’udito non è ancora sviluppato. Perché questo intimo e prezioso scambio abbia luogo è necessario che la madre gli rivolga la sua attenzione e le sue parole.

I bisogni del nascituro

Il nascituro ha bisogno di sapere innanzitutto che la madre lo desidera e che desidera “proprio lui”, così com’è, certa che il loro incontro porterà a qualcosa di bello e di grande. Questa consapevolezza, trasmessagli dalla madre con il pensiero e con le parole, ma anche con carezze, racconti e dolci melodie, lo sosterrà e lo cullerà. Gli darà la forza di compiere il suo viaggio e gli consentirà di ancorarsi fortemente alla vita. La certezza che l’amore materno lo accompagnerà sempre e comunque, gli fornirà il coraggio per superare i momenti di fatica.

Il grembo materno diverrà allora un ambiente sano e piacevole, una casa accogliente e preparata per lui. Uno spazio del cuore, non solo fisico.

I bisogni del nascituro nelle situazioni emotivamente stressanti

Nei casi in cui si verifichino eventi e situazioni emotive stressanti nella vita della mamma, la soddisfazione dei bisogni del nascituro risulta di fondamentale importanza.

Le seguenti conoscenze e consapevolezze posso risultare molto utili:

  • È importante che la madre parli al bambino e che gli spieghi ciò che accade, qualsiasi sia la sua età gestazionale. Se, ad esempio, è triste o è preoccupata per lui potrebbe spiegarli il motivo del suo sentimento. Questo dialogo interiore, può rassicurare la madre e, al contempo, offre al bambino gli elementi necessari per comprendere i suoi vissuti. Al contrario, quando ciò non si verifica, può accadere che il nascituro si senta impotente, sopraffatto o spaventato ed anche che si assuma le responsabilità di ciò che accade.  
  • È poi rassicurante sapere che le modalità di reazione della madre ed il suo atteggiamento nei confronti del bambino sono più importanti degli stress in sé stessi. Infatti, come dimostrano le ricerche sullo stress materno e sulla resilienza fetale, quando il nascituro percepisce che la madre, e coloro che sono accanto a lei (e che possono offrirle il loro prezioso sostegno), lo supportano e lo accompagnano affettuosamente, può sopportare molte avversità ed anche ridestare le sue profonde risorse fisiologiche, per poi proseguire con fiducia nel suo viaggio per nascere. Ciò che più teme e mal sopporta, infatti, non sono le difficoltà in sé, ma l’idea di affrontarle “da solo”.
  • Un’ultima preziosa considerazione, aiuta i genitori ad accettare le inevitabili difficoltà e a superare eventuali sensi di colpa. Eccola espressa con parole di Matthew Appleton, che Elena Balsamo (2019) riporta e spiega così: ““Se il grembo fosse un ambiente ideale non saremmo in grado di reagire alle negatività”. Tutto ciò che incontriamo nel nostro percorso di vita è in realtà funzionale al nostro stare qui e le difficoltà che ci si presentano lo fanno anche e soprattutto per mettere in evidenza e ricordarci la nostra forza.”

La soddisfazione dei bisogni del bambino prenatale produce vantaggi che dureranno per tutta la vita

Le conoscenze sul bambino prenatale, fiorite negli ultimi decenni, si stanno oggi diffondendo sempre più e sono fonte di grande speranza. Ci permettono, infatti, di soddisfare precocemente i suoi bisogni, una azione di grande efficacia sia sul piano della prevenzione sia sul piano dello sviluppo relazionale (ma anche dello sviluppo intellettuale, motorio e linguistico) e che permette di gettare le basi per la costruzione di un futuro sereno per il bambino e per la famiglia.

Bibliografia:

Balsamo E., Cara mamma, Torino, Il leone verde, 2019, pp.37, 42.

Balsamo E., Libertà e amore, Torino, Il leone verde, 2010, p.186.

Chamberlain D.B., I bambini ricordano la nascita. I segreti della mente del tuo straordinario neonato, Pavia, Bonomi Editore, 1998, p. 122.

Leboyer F., Per una nascita senza violenza, Ed. Bompiani, Milano, 1975.

Montessori M., La mente del bambino, Milano, Garzanti, 1987, pp.68-69, 76.

Rank O., Il trauma della nascita. Sua importanza per la psicanalisi, Milano, Edizioni Sugarco, 1990.

Soldera G., Mussato M., Costruire la relazione nel periodo prenatale per prevenire il disagio. Intervento condotto in occasione del convegno “La relazione prima”, tenutosi a Verona il 27 maggio 2006, pp. 28-29.

Tomatis A., Nove mesi in Paradiso, Como-Pavia, Ibis, 2007, p.14.

di Elena Masotti, psicologa psicoterapeuta

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